Chi Siamo

Gerlando Lentini

I genitori di Don Gerlando Lentini nacquero a Favara, trasferiti a Ribera per lavoro decisero di stabilirsi nella ridente localita, cosi nel 1930 vide la luce Gerlando.

Entro' in seminario nel 1941 ad undici anni ed usci ordinato sacerdote nel 1953 dopo lunghi studi classici e Cristiani.

Fondo nel 1966 "La Via" e dopo 33 anni e' ancora pubblicata e piena di vita, ha scritto oltre quaranta libri.

 

 

Intervista al direttore don Gerlando Lentini

Incontri / Don Gerlando Lentini Un umile aristocratico Dottrinario intransigente, nei rapporti umani è affabile, generoso, premuroso soprattutto con chi è stato colpito dal destino o dagli uomini. Intervista di Gaspare Corso e Franco Mascarella, pubblicata dal settimanale “Momenti di Vita Locale”

La sua figura è di un’eleganza naturale, il suo viso sempre ben rasato, la sua pelle chiara, il suo incedere sicuro, il suo sguardo diretto, tradiscono un certo che di aristocratico. Non dell’aristocrazia nobilotta e godereccia, ma di quella sottile e intellettuale di certi principi della chiesa, di certi gesuiti di rango. Non è, però, un principe della chiesa, né un gesuita, e il suo lignaggio non è di sangue blu. Don Gerlando Lentini è solo un prete, e se non ha fatto carriera la colpa – o il merito? – è probabilmente di una certa   sua   intransigenza dottrinale, peraltro messa in pratica con puntigliosità quotidiana, che non lascia spazio ad alcun compromesso o ipocrisia. Per sua fortuna e nostra, però, questa intransigenza non si traduce in durezza dei rapporti umani. Tutt’altro. Nei rapporti privati è affabile, generoso, premuroso soprattutto con chi è stato colpito dal destino o dagli uomini. Se sul piano dottrinale appare come uno che si spezza ma non si piega, sul piano umano è molto evangelico, non tira pietre ai peccatori, li soccorre con una buona parola o con un libro di preghiere. A lui si può lasciare in custodia senza timore il proprio portafogli, da lui si può comprare ad occhi chiusi un’auto usata. Cosa non facile, perché tutto ciò che usa 1o sfrutta fino a tirarne fuori i1 sangue. E non è certo il tipo da vendere roba buona soltanto per la rottamazione. Ogni mese pubblica un suo giornale, La Via, che spedisce in tutto il mondo. Lui ne è direttore, redattore, dattilografo, tipografo. Lo scrive con una vecchia Olivetti elettrica e lo stampa in quasi duemila copie con un   moderno fotostampatore (da poco ha dovuto sostituire quello vecchio per la ragione di cui sopra). E’ nato nel1930 a Ribera, dove ha fatto le elementari, poi è entrato in Seminario, dove è stato ordinato sacerdote nel 1953.

Chi erano i suoi genitori?

«I miei genitori erano di Favara (Agrigento). Mio padre, scultore e scalpellino, nel 1925 fu chiamato a Ribera (Agrigento) dall’arciprete Licata por costruire l’artistico campanile; impegnato poi in altri lavori, vi rimase. Perciò sono nato a Ribera nel giugno del 1930».

I suoi studi alle elementari e i suoi maestri?

«Feci le elementari nella scuola Crispi, costruita da Domenico Cicirello per la parte muraria e per la parte artistica (coperta ora da intonaci) da mio padre. Ricordo particolarmente la mia maestra delle prime tre classi elementari per la sua serietà nell’insegnamento e per la compostezza nell’andare alla Comunione la domenica, quand’io
bambino partecipavo alla Messa: si chiamava Ciancimino ed era di Sambuca di Sicilia (Agrigento)».

Perché è entrato in Seminario? Che cosa è cambiato rispetto alla vita precedente?

«Sono entrato in seminano nell’ottobre del 1941, ad undici anni, col desiderio di farmi prete. Evidentemente la decisione di farmi prete l’ho presa a fine liceo classico, dopo aver pregato, riflettuto e chiesto consiglio a persone sagge. II Seminario, contrariamente a quanto si crede, non mi ha per nulla condizionato».

Quando è stato ordinato sacerdote?

«Nel 1953, con altri quattro colleghi: dei 40 alunni di prima media, superstite ero solo io; gli altri quattro si erano aggiunti lungo il corso degli studi. Il Seminario seleziona e prepara: io ci stetti ben dodici anni molto contento, impegnato nella mia formazione umana, cristiana e sacerdotale con ottimi superiori e insegnanti».

Cosa ha provato nel giorno della sua ordinazione sacerdotale?

«Sul piano sentimentale, nulla o quasi: forse perché la mia fede è andata sempre alla ricerca di una base razionale che la giustifichi. Una fede, infatti, non è degna dell’uomo, se non sostenuta da una base razionale. Ciò detto, da quel momento ho avuto la coscienza di essere stato investito da una tremenda responsabilità dinanzi a Dio e alla Chiesa, intesa come popolo di Dio; una responsabilità, sottolineo, tremenda, poiché il prete – nel suo ministero – agisce nella persona di Cristo, così come Cristo agisce nella sua persona. E’ tremendo dire ogni giorno: «Questo è il mio corpo» o «Io ti assolvo», e sapere che le mie parole sono le parole di Cristo che consacra ed assolve»!

La sua fede è stata mai tentata dai dubbi?

«Dubbi sulla fede? Ma la fede di noi cattolici è così profonda (si pensi al mistero trinitario, alla santa Eucaristia…) che è impossibile che non sorgano delle domande, più che dei dubbi; domande o dubbi che vanno superati con la preghiera, la lettura assidua delle Scritture, lo studio e, soprattutto l’esperienza eucaristica giornaliera. Dubbi sulla mia vocazione sacerdotale? Mai, poiché chi ha preso una decisione così importante ad occhi aperti, ma anche ha detto sì nella celebrazione del matrimonio, deve risolvere tutte le crisi e i problemi che sorgono nella vita sulla base di quel sì. Il sì sacerdotale o matrimoniale non è una certezza matematica, ma morale: è un atto della volontà. Dei preti hanno lasciato il sacerdozio e tante coppie hanno rovinato la famiglia per essere ritornati ad esaminare quel sì, che, non scaturendo da una certezza matematica, può presentare qualche lato debole».

Bernard, commediografo francese, alla domanda se preferisse andare all’inferno o in paradiso, rispose: “All’inferno c’è più società”. Come vede lei il Paradiso?
«Io vedo il paradiso come lo vedono Gesù Cristo e la Chiesa. Come ogni cattolico, credo quello che Dio ci ha rivelato e la Chiesa ci propone a credere. Quando la storia degli uomini finirà col giudizio universale, i buoni — dice Gesù — andranno “alla vita eterna”, i cattivi “al supplizio eterno”. L’inferno non potrà essere una società, poiché i dannati odieranno Dio e si odieranno tra di loro: non, quindi, più società, ma zero società. Il Paradiso è uno stato di vita soprannaturale che non può essere descritto con parole umane, possiamo solo intuirlo un po’. Gesù dice al ladro pentito: “Oggi sarai con me in Paradiso!”: Il paradiso è essere con Gesù nella gioia del Padre e dello Spirito Santo. L’apostolo Giovanni dice che, in Paradiso, “saranno simili a Dio”, felici quindi della sua stessa felicità, perché “Lo vedremo come Egli è”: vedere biblicamente significa possedere, partecipare, vivere della stessa vita; felici di una felicità oggettivamente infinita come Dio».

La crisi delle vocazioni sacerdotali può essere conseguenza della costrizione al celibato? Se venisse modificata la legge ecclesiastica, lei sarebbe favorevole a che i sacerdoti si sposino?

«Parlare di costrizione al celibato è offensivo per la chiesa e per noi preti: nessuno ci ha costretto ad abbracciare il celibato; è stata una libera scelta fatta ad occhi aperti per amore di Cristo e della chiesa; farsi preti non è un diritto. La vocazione non sta nel dire: io voglio farmi prete; sta invece nella chiamata della Chiesa: è la Chiesache mi chiama, tramite il Vescovo, ad essere prete. E la Chiesaha il diritto di dettarne le condizioni: una di queste condizioni è il celibato abbracciato per il Regno di Dio. Si dirà: una volta, nei primi secoli, non era così; potevano essere ordinati anche uomini sposati. Ora, però, è così perché la Chiesaavanza nella storia guidata dallo Spirito Santo e alla sua luce ha maturato questa decisione».

In virtù di questa possibilità di cambiamento, un domani potrebbe cambiare la legge sul celibato.

«Ipoteticamente sì: è una legge ecclesiastica, ela Chiesastessa può farlo. Penso, comunque, che ciò non avverrà: nel passato, anche in tempi più penosi dei nostri,la Chiesain questo campo non è tornata indietro».

Dalla lettura dei suoi articoli, sembra che lei abbia la nostalgia del potere temporale dei Papi. È proprio così?

«Si ha nostalgia di una cosa che non c’è più; ma il potere temporale dei Papi, grazie a Dio e a dispetto di Cavour e Garibaldi, c’è ancora, anche se con un dettaglio di secondaria importanza: prima tale potere si esercitava su 30 mila chilometri quadrati, ora su mezzo chilometro: ma in questo mezzo chilometro quadrato il Papa esercita i suoi poteri regali, non soggetto ad alcun potere temporale. È stata questa ed è questa la funzione del potere temporale. Non ho alcuna nostalgia di uno Stato temporale grande; solo mi vergogno, come cittadino italiano e come cristiano, chela Chiesa in questo passaggio sia stata trattata come un’associazione a delinquere, e che gli Ordini religiosi siano stati sciolti e rapinati calpestando lo stato di diritto, che i liberalmassonici dello scorso secolo non sapevano che cosa fosse».

Come è nata la sua vocazione giornalistica?
«Io non sono giornalista, sono un prete che esercita il suo ministero della Parola come qualsiasi altro prete; e siccome la Parola la si può pure scrivere, e il Signore mi ha dato questo dono, cerco di sfruttarlo negli interessi del regno di Dio».

Come si regge economicamente il suo periodico “La Via”? Perché non ha collaboratori stabili?

«La Via è stata fondata nel 1966 come espressione del Movimento di azione Cattolica di Favara, di cui ero assistente; ben presto però prese più ampio respiro. L’ultima spedizione è stata di 1.716 copie: Ribera 485; il resto va in provincia, in Sicilia, in Italia e 32 copie all’estero. La Via ha solo lettori che la finanziano liberamente, quando vogliono e se vogliono. I collaboratori stabili si sono persi lungo la … via. Comunque pare che sia apprezzata… se campa da ben 33 anni».

Quanti libri ha scritto? E a quale è più legato?

«Ho scritto oltre quaranta libri; altri sono in corso di stampa. Non ho particolari preferenze. Mi sta particolarmente a cuore il volumetto “Perché cattolici” che, regalato dal caro estinto Lillo Miliano a un giovane calvinista, fu lo strumento di cui si servì il Signore per la sua conversione e la sua vocazione sacerdotale».

Lei ha scritto un libro su Don Milani, “Servo di Dio e di nessun altro”, che era un prete capace anche di una certa “violenza verbale”. In che cosa lei si sente simile a lui e in che cosa diverso?

«Don Milani era una personalità originale e unica, di una grande cultura e con una fede granitica: in questo sono diverso. Credo di essergli vicino nel forte legame alla Chiesa e all’ortodossia, unito ad una grande libertà di critica, quando lo credo giusto, sul piano pastorale, campo nel quale neppure il Papa è infallibile e tutto è discutibile».

Se non fosse stato prete, cosa avrebbe fatto?

«Non ci ho mai pensato: ho sempre creduto che il progetto di Dio su di me fosse quello di essere prete; nonostante tutto, è una vita fortemente motivata, che ha un fascino inesauribile, che fa toccare con mano la fragilità dell’uomo e la potenza di Dio. Il guaio è che è un ideale fin troppo diffìcile “da realizzare in pieno. Bisogna fare sempre appello alla misericordia di Dio, se no…».

Qual è il valore del denaro per lei?

«Il denaro è il dio di questo mondo, e dice Gesù: “Non potete servire a Dio e al denaro, dovete scegliere!” Io ho scelto Dio, e anche il denaro lo vedo alla luce di Dio: usarne tanto quanto è necessario senza attaccarvi il cuore».

In politica come si è comportato nel corso degli anni? Per chi ha votato?
«La politica della Chiesa, diceva Pio XI, è la politica del Padre Nostro; la politica dei cattolici dovrebbe essere animata dalla dottrina sociale della Chiesa basata sul Vangelo: non è un programma politico, ma dei principi cui dovrebbe ispirarsi i cattolici e le formazioni politiche promosse dai cattolici. Ed è quello che ho cercato di fare e di inculcare. L’attività politica, salvo casi di emergenza (es. caso don Sturzo e arciprete Licata) spetta ai laici cattolici; perciò, fecero male sia quei preti che   diventarono galoppini elettorali di uomini della DC sia quegli altri che si aggregarono e si fecero strumentalizzare da comunisti e socialisti (es. sul piano nazionale, don Baget Bozzo). La Chiesa in quanto tale e il clero non possono non essere che la coscienza critica della politica, particolarmente di quella dei cattolici; per far questo devono saper mantenere distacco e distanza. Ed è quello che ho cercato di fare. Pertanto, pur fortemente critico della DC, votai secondo coscienza sempre DC. E ciò non per obbedienza ai Vescovi, che non ordinarono mai di votare Dc, ma perché era l’unico partito che salvaguardava alcuni valori umani e cristiani essenziali: es. l’indissolubilità del matrimonio, il valore della vita sin dal concepimento, la libertà della scuola».

Ha mai avuto paura del comunismo e dei comunisti?

«Il comunismo è stato ed è la più grande menzogna del nostro secolo: per la prima volta si tentò di costruire una società atea, con gli effetti catastrofici che ancora vediamo. Come non aver paura? I primi ad essere ingannati furono i poveri comunisti, anche in Italia; ed è strano che questo partito, anche in Italia, non si sia disfatto e non sia stato dimenticato, pur costretto a cambiare nome e a rinnegare tutti i suoi padri: da Marx a Berlinguer, passando per Togliatti».

Secondo lei il potere della Massoneria è ancora grande?

«Credo di sì. Sino a qualche anno fa, della Massoneria si doveva parlare bene perché aveva fatto (malamente) l’Italia. Oggi pare che non si sia più obbligati, al punto che qualche pubblico ministero può osare d’indagare anche sulle Logge, scoprendo quel che una volta non si doveva neppure sospettare che ci potesse essere».

Tra i due detti “Calati juncu ca passa la china” e “Mi spezzo ma non mi piego”, quale preferisce?
“Né l’uno l’uno nè l’altro. Un cristiano sceglie, con la grazia di Dio, di praticare quel che Gesù ci comanda: compiacere il prossimo in tutto ciò che è buono e lecito; resistere, sino alla persecuzione e al martirio, quando ci si chiede di rinnegare Cristo e il suo Vangelo. Peraltro, al di là delle nostre incoerenze, si può sempre sperare nella misericordia di Dio».

Che cosa significa essere cattolici oggi?

«Quel che ha sempre significato: fedeltà a Cristo e alla sua chiesa sia da preti che da laici, sia in famiglia che sul luogo di lavoro, sia in economia che in politica. Il vangelo, infatti, è totalizzante, anche se  non  totalitario  nè integralista; il che significa che è una proposta da accogliere e da praticare liberamente, ma non d’imporre mai e poi mai con violenza fisica o morale».